Un gruppo di ricercatori dell’Università Johns Hopkins ha compiuto un importante passo avanti nella diagnosi precoce del cancro.
Questa innovazione, pubblicata recentemente sulla rivista scientifica Cancer Discovery, rappresenta una svolta potenzialmente rivoluzionaria nella lotta contro i tumori, con un impatto significativo anche sul carcinoma prostatico, il tumore più diffuso tra la popolazione maschile italiana.

Il test messo a punto dagli studiosi della Johns Hopkins, guidati dal dottor Yuxuan Wang, si basa sull’analisi del DNA tumorale circolante (ctDNA), ovvero piccoli frammenti di materiale genetico rilasciati nel sangue dalle cellule tumorali nelle fasi iniziali della malattia. Questa tecnica rientra nella categoria dei test MCED (multi-cancer early detection), progettati per individuare simultaneamente diversi tipi di tumore attraverso un singolo prelievo ematico.
Lo studio ha coinvolto 52 soggetti: 26 con diagnosi di tumore entro sei mesi dal prelievo e 26 senza diagnosi. In otto di questi pazienti, il test ha identificato segnali tumorali già nei campioni iniziali, mentre in quattro casi le mutazioni tumorali erano presenti fino a 3,5 anni prima della diagnosi ufficiale. Come spiega Wang, «una finestra di tre anni consente di intervenire quando il tumore è ancora in fase iniziale, aumentando notevolmente le possibilità di successo terapeutico».
Il professor Bert Vogelstein, co-direttore del Ludwig Center e tra i massimi esperti mondiali di oncologia molecolare, sottolinea l’importanza di questo risultato: «i test MCED hanno il potenziale di cambiare radicalmente la prevenzione oncologica, permettendo di individuare tumori in uno stadio molto precoce e di stabilire livelli di sensibilità ottimali per il loro successo clinico».
Il carcinoma prostatico: un focus sulla malattia più diffusa tra gli uomini italiani
Il tumore della prostata rappresenta la neoplasia più frequente nella popolazione maschile italiana. Secondo il rapporto AIOM-AIRTUM 2024, sono stati diagnosticati circa 40.192 nuovi casi nel corso dell’ultimo anno. Nonostante l’alta incidenza, la prognosi resta favorevole se la diagnosi avviene per tempo, con una sopravvivenza a cinque anni del 91%.
La prostata, una ghiandola situata davanti al retto e deputata alla produzione di parte del liquido seminale, è particolarmente sensibile agli ormoni maschili, quali il testosterone, che influenzano la crescita cellulare. I principali fattori di rischio per il carcinoma prostatico includono l’età avanzata, la familiarità e la presenza di mutazioni genetiche come quelle nei geni BRCA1 e BRCA2, già noti per la loro associazione con altri tumori ereditari.
Tra i sintomi più comuni nelle fasi avanzate della malattia vi sono difficoltà nella minzione, dolore, presenza di sangue nelle urine o nello sperma e, in casi più gravi, dolore osseo dovuto a metastasi. Tuttavia, nelle fasi iniziali, il carcinoma prostatico è spesso asintomatico, rendendo indispensabile l’utilizzo di strumenti diagnostici efficaci e precoci.

Il test basato sull’analisi del ctDNA rappresenta un passo decisivo verso una medicina sempre più predittiva e personalizzata. Come evidenziano gli autori dello studio, compreso Nickolas Papadopoulos, «individuare i tumori anni prima della diagnosi clinica può migliorare significativamente gli esiti terapeutici, ma è fondamentale definire protocolli chiari per il monitoraggio dei pazienti con test positivi».
Nonostante le promettenti premesse, la ricerca richiede ulteriori conferme su larga scala per validare l’efficacia e l’affidabilità del test, evitando falsi positivi che potrebbero generare ansia e interventi non necessari. Inoltre, sarà cruciale integrare questi nuovi strumenti con le pratiche cliniche esistenti, come l’analisi del PSA (antigene prostatico specifico) e l’esplorazione rettale, per migliorare la gestione del carcinoma prostatico.
L’Università Johns Hopkins, con la sua storica tradizione di eccellenza nella ricerca medica e nell’innovazione, continua a rappresentare un punto di riferimento internazionale nella lotta contro il cancro e in campo oncologico. Fondata nel 1876, con sedi anche in Italia e in altre parti del mondo, l’istituzione ha sempre promosso un modello integrato di formazione, ricerca e cura, che oggi si traduce in scoperte come quella del test del sangue per la diagnosi precoce del cancro.